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Di: simona lo iacono

Cara Tea,
il potere della parola (la parola che salva, la parola che resta, la parola che testimonia e si oppone alla morte)è alla base anche dei rapporti tra letteratura e diritto.
Voglio riportare qui di seguito alcuni brani di SALVATORE ATTA, gurista e scrittore, spentosi negli anni settanta dopo avere scritto la storia del diritto e aver commentato con un’opera monumentale i codici di procedura civile.
Dopo la sua morte si scopriì che era un grande romanziere la cui incessante attività di riflessione fu incentrata sui rapporti tra parola e norma, tra mistero del processo e mistero della vita.
Era figlio di notaio, e conosceva i rituali di noi pubblici ufficiali per averli odorati tra le stanze del padre fin da bambino.
La collazione di un documento, la sottoscrizione, l’incontro con l’altro, erano per lui ammantati di sacralità, perchè in essi si celebrava la più alta delle funzioni di un uomo di legge: il servizio all’uomo.
Al suo dolore. Alle sue necessità.
In questo brano che vi riporto, tratto dagli atti di un convegno notarile, egli ricorda l’opera del padre notaro come quella di un collaboratore di un bisogno altrui.
—-
“… lo spettacolo della parola che nasceva dall’incerto, renitente, spesso litigioso volere, era per noi quotidiano, se pur non era talvolta una parola morente che il padre raccoglieva e rendeva quasi immortale: poiché davanti a Lui sono passati uomini e generazioni, ciascuno col suo bisogno di vita, ciascuno chiedendo al padre l’aiuto e la collaborazione
in un’opera di vita …”


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