Senza frenare, Gaetano imbocca la strada sterrata. Sente le ruote impantanarsi nel guado del fiume che, in rivoli d’acqua fangosi, si fa largo tra un letto di sassi. – Primo! – urla, slanciando su il pugno. Carezza il serbatoio. – Bravo il mio Duc! – Pianta i freni, sgommando. Sente la moto premere pesante contro la gamba. Facendo attenzione, la solleva, l’appoggia a un masso. In scivolata sul pietrisco, si fa il sentiero sino alla spiaggia, che s’allunga gialla sotto la Torre appollaiata in cima alla collina, a sorvegliare il niente azzurro del mare. Si toglie le scarpe. Sprofondando nella sabbia ancora umida, si dirige verso la riva sconciata da cumuli d’alghe e pece. Guarda il barcone riverso su un lato a un paio di metri dalla costa. Il pezzo di prua, incastrato tra gli scogli affioranti sull’acqua bassa, che ondeggia quasi a voler di nuovo prendere il largo. Il fasciame sparso sul litorale. Si china, allunga la mano, prova a spingere verso il mare aperto una tavola che se ne sta a galleggiare in una pozza salmastra. La guarda tornare ostinata indietro portata dalle onde, che muoiono in rivoli e bave sul bagnasciuga.
Poi si decide. Risale la spiaggia di qualche passo, va a fermarsi davanti a un cumulo d’indumenti sfatti, abbandonati tra buste e bottiglie di plastica ai piedi della scarpata che s’inerpica verso le serre. – Cadaveri slogati… – si sorprende a mormorare. Distoglie lo sguardo. Fissa quello sterminio di sacchetti a brandelli infilzati agli stecchi. Sfilando una canna da sotto la sabbia, trattenendo il respiro, prova a toccare una cosa informe che pare… un avanzo di gabbiano, un’ala monca… o forse un lembo di camicia sfrangiato. Sussulta quando sente la punta affondare nel molle, tutto un tramestio tra il groviglio informe di stracci.
– Che? Ti pareva un morto?
Si gira.
– Un topo era… – fa l’uomo, sferrando un colpo di rastrello alla cieca, stanando l’animale, che sguscia fuori dalla cintola di un relitto di pantalone, annusando l’aria, e schizza su per la scarpata, perdendosi in un lampo tra i rovi. – Scappa, scappa… che la strata è curta… – dice l’uomo sarcastico. Poi indica quella roba disseminata intorno. – Arrivano ccà e allòrdano… e il Comune paga… – fa schioccare le dita, – … pì puliziari le fìtusarìe e la munnizza chi làssanu… – Poggia un gran sacco nero per terra, l’allarga. Inforca una manciata di stracci. Li molla dentro. Si asciuga con un fazzoletto il sudore che gli riga il collo. – Ora… c’era bisogno, dico io, di lassàri tutta ’sta munnizza? – Affonda di nuovo il rastrello. Tira via una scarpa da donna schiacciata sotto un sasso. Tenendola sospesa in aria, la butta dentro. – Una discarica addivintò ’sta spiaggia. Di tutti li loro robbi ’nutili… – Punta il rastrello su una cosa che pare un Corano, le pagine aperte, squassate, cotte d’acqua e di sale. – Puru libri si portano… E chi si nni fanno di li libri, dico io, in mezz’al mare… – si batte il palmo della mano sulla tuta da lavoro, corruga la fronte. – Dio-solo-lo-sa… – Poi rimane in silenzio. Scruta storto Gaetano sfogliare qualche pagina con la punta della canna, piegare il capo, seguire le linee lievi dei caratteri sospesi sui fogli, aggrediti da macchie di salsedine e grumi di sabbia.
– Ci capisci? – allunga il collo per intercettare la faccia di Gaetano, che fa no con la testa. – E allura… tempo perso… – alza le spalle, riprende a lavorare di rastrello e pala. Gaetano se ne sta ancora un po’ a sfogliare le pagine, finché non sente la punta affondare nella carta e strapparla. Sfila rapido la canna, prova a richiudere il libro, che rimane rigido, aperto a metà, a boccheggiare.
– Ma pò essiri mai che ’un si capisce nenti nenti… – L’uomo si china, socchiude le palpebre. Poi torna a drizzarsi. – Niente… arabo pare… – Fa leva con la pala sotto il Corano e lo mette dentro. – Muvèmuni, va’. Che, tra poco, si squaglia di caldo –. Afferra il sacco. Un rigurgito di ciarpame si riversa davanti ai piedi di Gaetano rintanati sotto la sabbia. – Tanto domani… la stessa purcarìa… – fa l’uomo lasciando quella roba a vegetare lì. – Muvèmuni, va’ – ripete, caricandosi il sacco sulle spalle – Un morto è… Pesante… – E si avvia verso il camioncino dei rifiuti posteggiato al fresco di un albero in fondo alla spiaggia.
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Di: Da SENZATERRA (Einaudi, «L’Arcipelago», 2008), pp. 57-59
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