Perfettamente d’accordo. Sono gli atti antecedenti la normazione che conservano quel tanto di irregolarità che è propria della vita: per quanto lucido e specchiante (in linea di principio) si sforzi di essere il legislatore, tanto più varia e sporca e avviticchiata a elementi oscuri è l’esistenza di ognuno. Ed è qui che il giudice si trova a dover mediare, qui che lo scrittore affonda le mani per “pescare” storie, come quella molto bella che hai appena raccontato: “Sta già dicendo la verità” risponde il giudice. Ma quale verità? La sua. Che è una verità di pace. E poi? Ci sono tante verità quanti sono i protagonisti di una vicenda: narrativa, giudiziaria. Ci sono le parole e i silenzi. Quanto pesa un silenzio? Di quale valore è pregno? Quanta verità incarna? E quanto gli uomini di legge possono sondare nei silenzi per trarne verità che assomiglino alla Verità? E’ su questo che mi interrogo spesso: sul senso di un diritto che indaga la storia per tirare le fila di un discorso che sia “rassicurante”, che dia – per esempio – a un clandestino il foglio di via perché pericoloso e ladro e stupratore… anche se poi nessuno sa che si chiama Angelo, che ha un passato tremendo alle spalle, che ha un sogno… E le verità nascoste? E le omissioni? Le paure? Le bocche cucite? Non voglio impelagarmi in discorsi prettamente politici, anche se riflettere sul diritto presuppone una gran bella riflessione sul tentativo di mettere in discussione alcuni principii fondamentali. Quello che voglio dire è che dietro ogni parola ricevuta c’è un uomo – una donna – che ha il potere di aprirsi alla comprensione o di chiudersi totalmente proteggendosi dietro lo schermo della Legge. Dietro ogni pubblico ufficiale ci può essere un uomo (una donna) stanco che certi giorni non ce la fa ad ascoltare, o una donna (un uomo) stanca che invece ascolta; dietro la parola detta ci può essere innocenza o malizia, capacità di mistificazione, timidezza, paura… ci sono segni, dettagli, quelli che servono per schiudere altri canali di comprensione, quelli che impediscono ogni confronto. Poi c’è la parola scritta: quella che cristallizza e può trasformarsi in condanna, quella che lascia aperte nuove possibilità, che attribuisce altre opportunità. Insomma, anche nel rapporto diritto/letteratura, parola detta/parola scritta, etica e polica è tutto un guazzabuglio d’incertezze. Ma non potrebbe essere altrimenti. Appunto perché la vita è una biscia che sfugge tra le dita di chi vorrebbe cristallizzarla in un comma di legge. Ma questo non è – intendiamoci – un inno al disordine. Piuttosto la consapevolezza (amara?) che il diritto si ferma dove comincia l’uomo.
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